Albert Johanneson era nato poverissimo a Germiston, vicino Johannesburg, nel 1940. Non c'era interazione o integrazione in Sudafrica negli anni 40, ma solo segregazione per la popolazione di colore. Il calcio fornì ad Albert una via di fuga.
Il suo insegnante Barney Gaffney fu il primo ad intravedere in lui qualcosa di speciale e gli diede l'opportunità di andare a giocare in Inghilterra. Appena arrivato, suscitò l'interesse di molti club, tra cui il Newcastle. Poi, nel gennaio 1961, il provino al Leeds. Ad aprile avrebbe firmato il suo primo contratto da professionista con i Whites con cui collezionerà quasi 200 presenze fino al 1970.
Paul Harrison, nel libro "In The Black Flash: The Albert Johanneson Story", racconta quando Johanneson incontrò Sir Stanley Matthews che gli disse: "Albert tu sei un bravo giocatore, ma c'è una vera sfida da affrontare se vorrai essere considerato uguale ai tuoi colleghi bianchi. Ci sono persone nel mondo del calcio, presidenti, allenatori e giocatori a cui non piacerà l'idea che un giocatore di colore venga qui e si dimostri più bravo. La tua sfida più grande non è dimostrare quanto sei forte, ma affrontare e ignorare ciò che ti verrà detto e come verrai trattato".
Trascorse quasi un decennio a Elland Road e ogni settimana, come gli aveva predetto Matthews, subiva insulti, scherni, non solo da parte dei tifosi, ma anche dei giocatori.
Il calcio inglese non apprezzava qualcuno che venisse da fuori migliore di loro, men che meno un "uomo cresciuto in sporchi bassifondi infestati dai topi", come scrisse un giornalista.
Elland Road era l'unico posto in cui era amato. I tifosi del Leeds lo adoravano. Nel 1965 Albert divenne una presenza costante nella formazione del Leeds. La squadra stava iniziando a diventare grande, modellata da Don Revie, e quell'anno raggiunse la finale di FA Cup per la prima volta nella sua storia. Ma anche Albert avrebbe fatto la storia. E' stato, infatti, il primo giocatore di colore a raggiungere la finale di FA Cup.
Il 1° maggio 1965, prima di entrare in campo per affrontare il Liverpool (che avrebbe vinto 2-1 ai tempi supplementari), Johanneson si ritrovò a vomitare nel bagno solo al pensiero che gran parte dei 100.000 di Wembley l'avrebbero coperto d'insulti. Per tutti i 90 minuti, sembrò nascondersi, non riuscendo quasi mai a liberare le sua corsa veloce e la sua tecnica.
Ma cambiò il calcio inglese per sempre. La sua storia ancora oggi è conosciuta da pochi, ma a tutti i tifosi e i giocatori di colore che quel giorno stavano seduti davanti alla televisione diede una speranza.
Paradossalmente, da quello storico giorno a Wembley, la carriera di Albert prese una china negativa, un declino tanto che nel 1970 finì a giocare a York e poi ritirarsi nel 1972.
I tanti anni di insulti e maltrattamenti avevano lasciato il segno perchè, a un certo punto della sua carriera, trovò nell'alcol l'unico rimedio per affrontare la sua lotta. All'inizio degli anni 90 iniziò un percorso di riabilitazione per combattere l'alcolismo e trascorse parte degli ultimi anni della sua vita come un recluso. Nel 1995, malato di meningite, morì stroncato da un attacco cardiaco. Il suo corpo venne ritrovato in un piccolo appartamento solo diversi giorni dopo.