L'ultima parata di Ricardo Zamora

Il 1936 fu un anno terribile per la Spagna. Ma soltanto un mese prima dello scoppio della Guerra Civile, si giocò la finale della Coppa di Spagna, allora Copa de la Republica, l'ultima prima del conflitto e l'ultima giocata anche da Ricardo Zamora.

Valencia, 21 giugno 1936. In una calda domenica, in un clima politico già surriscaldato, Real Madrid e Barcellona giocarono il loro primo Clasico in una finale. Lo stadio Mestalla aveva una capienza di 19.000 spettatori, ma quel giorno ce ne erano almeno 22.000. I biglietti, che al botteghino costavano 6 pesates, erano passati di mano per almeno 50.
Non fu una partita memorabile se non per la prestazione di Ricardo Zamora che permise al Real Madrid di blindare la vittoria e conquistare la sua settima coppa.
Le merengues sembravano aver messo in cassaforte il risultato già nel primo quarto d’ora con i gol di Eugenio e Lecue. La reazione del Barcellona costrinse il Real ad arroccarsi in difesa. Una resistenza che durò sino al 30’ della ripresa quando i catalani riuscivano ad accorciare le distanze con Escolá, e sembravano sul punto di poter riaprire la partita. Ma non avevano fatto i conti con Zamora che voleva lasciare alla storia del calcio la sua ultima grande prestazione. E così avvenne.
All'83', Vantolrá con un lancio preciso pescava due suoi compagni Escolá e Raich smarcati. La palla era a circa cinque metri da Zamora, un'occasione impossibile da fallire. Raich mancava il primo tentativo, ma sulla respinta il pallone tornava sui piedi di Escolá, che da buona posizione tirava con potenza, a colpo sicuro. Zamora, d'istinto, si tuffava dalla parte giusta; nonostante la distanza ravvicinata ed il fatto che fosse coperto, riusciva a neutralizzare la conclusione, salvando il risultato e la Coppa. Il momento in cui El Divino Zamora para il tiro di Escolá è immortalato in una foto che è entrata a far parte della storia del calcio.
Nemmeno due settimane dopo, il 29 giugno il settimanale As titolava a tutta pagina: Ricardo Zamora lascia il calcio. Da quel giorno e sino al fatidico 18 luglio ciò che monopolizzò l'attenzione dei tifosi era la notizia che Zamora aveva appeso gli scarpini al chiodo. Di nient'altro si parlava in Spagna fino a quando non divamparono le fiamme distruttrici della Guerra Civile.
Ricardo Zamora, classe 1901, giocò la maggior parte della sua carriera nell’Espanyol (11 anni) e Barcellona (3 anni). Nell'agosto del 1930 passò al Real Madrid dove rimase sino al 1936. Esordì in Nazionale a 19 anni alle Olimpiadi di Anversa 1920, disputando 46 partite fino al 1936, riuscendo a mantenere la porta inviolate per ben 21 volte. Nel 1929, in una partita contro l’Inghilterra, continuò a giocare malgrado si fosse rotto lo sterno. Alla fine la Spagna vinse per 4-3, diventando la prima squadra al di fuori delle Isole britanniche a sconfiggere la nazionale inglese.
El Divino diede una nuova interpretazione al ruolo di portiere, parando con parando con avambracci e gomiti, la cosiddetta Zamorana, e giocando molto anche fuori dai pali, sino al limite dell’area di rigore che, oggi, diamo per scontato, ma che 90 anni fa era una sorta di sconvolgimento del ruolo.
Zamora fu, in tutto, il primo portiere moderno, dall’abbigliamento, con il suo immancabile cappellino di stoffa che indossava per ripararsi dal sole e dagli avversari, come diceva lui, alla preparazione atletica. Aveva il fisico di un portiere moderno (era alto 1,86) ma agile tra i pali, grande tecnica nel bloccare il pallone e tanto coraggio nelle uscite.
Il grande Alfredo Di Stefano ebbe a dire che c’erano stati soltanto due grandi portieri: San Pietro in cielo, Zamora in terra.