Non sono bastate 5 Coppe del Mondo a far dimenticare al Brasile il Maracanazo, ovvero “la tragedia del Maracanà”, che sì compì il 16 luglio 1950 a Rio De Janeiro per opera di un giovane e talentuoso giocatore uruguaiano di 23 anni, Alcide Ghiggia.
Il Brasile, che avrebbe dovuto ospitare la Coppa del Mondo del 1942 cancellata per la guerra, fu riconfermato come paese organizzatore dell’edizione 1950. Le sanzioni internazionali impedirono a Germania e Giappone di partecipare. L’Italia, campione uscente, fu qualificata di diritto; il disastro aereo di Superga del 1949 nel quale avevano perso la vita molti giocatori del Grande Torino, convinse l’Italia a partire per il Brasile via nave. La Francia rifiutò a causa dei costi troppo alti. L’Inghilterra fu la prima squadra del Regno Unito a partecipare ad una Coppa del Mondo dopo aver ritenuto fino ad allora il torneo non all’altezza della sua presenza. Ma dovettero subire l’affronto di una scioccante sconfitta per 1 a 0 con gli Stati Uniti. L’Uruguay, campione nel 1930, che non aveva partecipato alle edizioni del 1934 e del 1938, aderì.
Il ritiro all’ultimo momento di tre nazionali, comportò che, mentre due gruppi erano composti da quattro squadre ciascuno, un gruppo ne aveva tre e nel quarto gruppo c’erano solo Uruguay e Bolivia, in pratica una partita ad eliminazione diretta per un posto.
Fresco della vittoria in Copa America nel 1949, dove aveva segnato 39 gol, il Brasile si presentava con il trio Zizinho-Ademir-Jair, che ne avevano segnati 21 di quei gol, ma senza l’infortunato Tesourinha, che ne aveva segnati 7, ma si era infortunato prima dell’inizio della Coppa. Nonostante lo scivolone iniziale con la Svizzera (2-2), il Brasile vinse il proprio gruppo annullando Jugoslavia e Messico.
Svezia, Uruguay e Spagna furono le altre squadre che si qualificarono per la fase finale, un mini-torneo a quattro che avrebbe deciso la vincitrice, senza una vera e propria finale per assegnare la Coppa. L’Uruguay prima pareggiò con la Spagna (2-2) e poi superò a fatica la Svezia (2-1) grazie a 2 gol negli ultimi 13 minuti di Omar Miguez. Il Brasile, invece, travolse la Svezia per 7-1 e poi umiliò la Spagna per 6-1.
Tutto, quindi, era rimandato all'ultima giornata: al Brasile bastava il pareggio, mentre l'Uruguay doveva vincere per conquistare la Coppa. Non una vera finale, ma quasi.
I tifosi, la stampa, tutti pensavano che la Coppa sarebbe stata facilmente del Brasile. Zizinho, per esempio, firmava autografi con la frase “Brasile campione del mondo”. Il quotidiano O Mundo la mattina della partita pubblicava a tutta pagina una foto del Brasile con il titolo “Questi sono i Campioni del Mondo”. Non c'erano dubbi sulla superiorità del Brasile, tanto più che l’Uruguay era stato sconfitto per 5-1 un mese prima in Copa America. Sulle tribune, 203.000 spettatori già in festa.
Prima di scendere in campo, il capitano dell’Uruguay Varela aveva detto ai suoi compagni: "Ragazzi, gli spettatori non giocano. Facciamolo noi lo spettacolo".
Il Brasile iniziava alla grande; il suo micidiale trio di attaccanti ed a Friaca che non davano respiro agli avversari. Il portiere della Celeste, Roque Maspoli era oggetto di un vero e proprio tiro al bersaglio: ben 17 i tiri verso la sua porta. Ma la difesa dell’Uruguay aveva retto l’urto sino al 45’ che, seppure senza gol, aveva lasciato inalterato l’umore dei tifosi che confidavano nella vittoria finale.
Iniziata la ripresa, dopo 78 secondi il Brasile sbloccava il risultato. Maspoli, sino a quel momento insuperabile, non riusciva ad opporsi al tiro di Friaca che s’insaccava nell’angolo in basso a sinistra. Per mantenere quel vantaggio sino alla fine, al Brasile sarebbe bastato amministrare il gioco grazie alla sua maggiore qualità tecnica. Ma proprio quel gol indusse i verde-oro, sospinti dalla folla festante, a voler stravincere.
Un errore, perché lasciarono spazio alle veloci manovre dei calciatori uruguaiani. Al 66’, il capitano della Celeste Varela giocò una spalla sulla destra per Ghiggia. L’ala sembrò danzare nel superare il terzino destro Bigode. Servì un pallone perfetto al centro per l’accorrente Juan Schiaffino scaraventava in rete.
Il pareggio sarebbe bastato per vincere la Coppa, ma il Brasile conosceva un solo modo di giocare: continuare ad attaccare. Il segnale di allarme non era stato recepito. Anche perché iniziò a subentrare nei calciatori la paura di vincere e qualcosa iniziò a non funzionare più, a partire dalla loro testa.
Quello che accadde 13 minuti dopo è una favola che Ghiggia ha ripetuto migliaia di volte: “Presi la palla sulla destra, dribblai Bigode ed entrai in area. Il portiere Barbosa pensava che avrei crossato, come nel primo gol. Così fece un passo in avanti, pronto ad intercettare il passaggio. Ho avuto un secondo per pensare, poi ho tirato tra palo e portiere e ho fatto gol”.
Il Maracanà passò dal carnevale alla tragedia. Fu uno shock che si trasmise dalle tribune agli undici giocatori in campo. “C’era un silenzio assoluto", raccontò in seguito Ghiggia. “Erano diventati di ghiaccio, sembrava che non respirassero più. Fu allora che mi resi conto che non avrebbero cantato più e che avremmo vinto. "
Mancavano ancora 11 minuti alla fine. Il Brasile riprese ad attaccare, ma invano. Il danno era stato fatto.
Un'intera nazione cadde nella disperazione. Il presidente della Fifa, Jules Rimet, ricordò così quei momenti: “A pochi minuti dalla fine, ancora sull’1-1, lasciai il mio posto e scesi negli spogliatoi. Le urla assordanti della folla mi risuonavano nelle orecchie. Mi avvicinai al campo e, arrivato alla fine del tunnel, la festa aveva lasciato il posto a un silenzio assoluto. Non c’era la guardia d'onore, nessun inno nazionale e nessuna cerimonia. Ero lì da solo, in mezzo alla folla, spinto di qua e di là, con la coppa sotto il braccio. Alla fine trovai il capitano uruguaiano e, praticamente fuori dalla vista di tutti, gli consegnai il trofeo".
Il portiere del Brasile, Moacyr Barbosa sarà considerato, per tutta la sua vita, il colpevole di quella sconfitta.
Escluso ed emarginato come "l'uomo che aveva perso la Coppa del Mondo", giocò una sola altra volta in nazionale. Nel 1994 gli fu persino vietato di visitare la squadra brasiliana ai Mondiali per paura che portasse sfortuna. “In Brasile, la pena massima per un crimine è 30 anni”, disse una volta Barbosa. “Io, invece, per 44 anni ho pagato per qualcosa che non avevo mai commesso.”
Ghiggia incontrò Barbosa qualche anno più tardi: “Gli dissi che il calcio era 11 contro 11. Che i portieri erano troppo spesso sottovalutati. Tu puoi giocare bene tutta la partita, ma poi subisci un gol e i tifosi se la prendono con te. Il mio marcatore non mi fermò. Perché incolparono lui? Barbosa è morto con l’ingratitudine del popolo brasiliano”.
Un’altra vittima del 1950 fu la divisa tutta bianca, considerata ormai iellata. Grazie al gol di Ghiggia la nuova divisa sarebbe passata alla storia, simbolo stesso del Brasile, con le maglie gialle ed i pantaloncini blu.
Ghiggia giocò 12 partite con l’Uruguay, segnando 4 gol, tutti nella fase finale dei Campionati del Mondo del 1950, divenendo così il primo giocatore a segnare un gol in ogni partita del torneo finale. La sua breve carriera con la nazionale dipese dal fatto che fu uno dei primi giocatori sudamericani a trasferirsi in Europa dove giocò per un decennio con le maglie di Roma e Milan. In quegli anni, i lunghi trasferimenti non erano facili e così quasi impossibile giocare con la Celeste. Nel 1957 venne naturalizzato italiano e giocò con la nazionale azzurra 5 partite di qualificazione al mondiale del 1958, segnando 1 gol. Ma aveva perso il suo tocco magico, perché quella sarà la prima volta che l’Italia mancherà la partecipazione alla fase finale.
Tornato a Montevideo nel 1963, giocò nel Danubio sino al 1968, ritirandosi a 42 anni. Come gli altri ex-compagni del 1950, dopo il suo abbandono iniziò a lavorare per l’autorità governativa presso il Casinò di Montevideo. Quando andò in pensione, per far quadrare i conti fu costretto a vendere la medaglia della Coppa del Mondo. Fu acquistata da un uomo d'affari che, dopo aver pagato una somma considerevole, restituì la medaglia a Ghiggia.
In occasione dei suoi 80 anni, l’Uruguay emise un francobollo speciale con la sua foto e la frase: "Ghiggia ci ha commosso fino alle lacrime". Anche nel paese che lui aveva fatto piangere, è stato ugualmente ricordato: accanto allo stampo dei piedi di Pelé sulla Walk of Fame del Maracana, c'è quello di Ghiggia.
Dalla miriade di libri, articoli, interviste e documentari su quel giorno, alla fine una frase di Ghiggia, meglio di tutte, avrebbe definito quel momento: “Soltanto tre persone hanno zittito il Maracana: il Papa, Frank Sinatra ed io.”
È stato l'ultimo dei 22 del Maracanazo ad andarsene, il 16 luglio 2015 a 88 anni, per un attacco cardiaco. Lo stesso giorno dell'anniversario del suo gol al Maracanà.